Sloviansk, Ucraina, villaggio di Semonovka. Maggio 2014.
Nome di battaglia “Botsman”, classe 1982, provenienza sconosciuta. Botsman è un ribelle filorusso, parla un buon inglese ed è arrivato, con un amico, a Sloviansk in aprile, cioè quando la città è passata sotto il controllo dei separatisti. Entrambi sono agli ordini del comandante Arsen Pavlov, meglio conosciuto come “Motorola”, nel battaglione che porta il suo nome.
© Andrea Carrubba.
Le testate giornalistiche hanno smesso di occuparsi di ciò che accade in Ucraina. Per non dimenticare cosa è accaduto finora, ecco il racconto di una notte trascorsa nel buio di una trincea dei separatisti in Ucraina orientale
Accovacciati dietro a dei pesanti blocchi di cemento armato, disposti su due file per creare un corridoio, tra la polvere, i sacchi di sabbia e le armi. È una fresca giornata di maggio, l'aria è frizzantina e il tramonto tinge di rosso i campi rimasti incolti. La pace quasi surreale che si respira mi lascia dimenticare, per un attimo, l'odore della guerra. Una guerra che affonda le sue radici nel dopo Maidan e nella profonda crisi economica che ha colpito l'Ucraina negli ultimi mesi e che si è, velocemente, rivelata per quello che sono tutti i conflitti: un inutile massacro. Dalle prime manifestazioni di protesta alle occupazioni politiche divenute, in breve tempo, delle vere e proprie occupazioni militari, il passo è stato brevissimo. Poi edifici pubblici trasformati in piccoli fortini presidiati giorno e notte da miliziani in assetto da guerra; imponenti fortificazioni a difesa delle grandi città e continui posti di blocco occupati da cittadini armati, militanti e fiancheggiatori sulle arterie principali come nelle piccole strade di campagna. Quindi mezzi blindati per le strade, sparatorie, attacchi aerei, bombardamenti a qualunque ora del giorno e della notte e morti. Tanti morti.
Sospiro, e cerco un posto da cui avere una buona visuale e una buona capacità di movimento. Con il calare della sera iniziano sempre gli scontri a fuoco e i bombardamenti si intensificano. Botsman, un ribelle filorusso dalla lunga barba castana, mostra il rifugio in caso di estremo pericolo o di panico. Si tratta di una piccola cantina di circa 6 metri quadrati, in fondo a una vecchia scala, protetta da una pesante porta in legno. Per raggiungerlo bisogna attraversare la trincea, passare in mezzo a due piccoli edifici in cui sono appostati alcuni cecchini e svoltare subito sulla destra. Non è difficile, penso tra me e me. Sono seduto in terra, sull'asfalto, appoggio la macchina fotografica su un sasso e mi chiudo la cerniera della giacca. All'improvviso un tracciante fende il cielo e l'artiglieria, dalle retroguardie, risponde al fuoco. |
Si spara di continuo, dardi rossi attraversano il cielo ed esplodono a poche decine di metri dalla nostra posizione, e la polvere sale nel cielo. Restiamo in ginocchio, raggomitolati a pochi centimetri dal suolo, mentre i colpi diventano sempre più precisi e tutt'intorno il suono dei proiettili che si schiantano sul terreno. Poi un colpo di mortaio, e un altro, e così via.
Le case bruciano nel vicino villaggio e la poca gente rimasta fugge, in preda al panico, lontano dalla propria abitazione. È notte, e nel buio le fiamme si alzano alte e brillano, visibili a chilometri di distanza. Cerchiamo di raggiungerle, voglio scattare qualche immagine per raccontare, a chi non sa, quello che sta succedendo. Corriamo nella notte e attraversiamo un'ampia zona allo scoperto, protetti dal buio che avvolge ogni cosa. Il villaggio è ormai a pochi metri, quando un colpo sordo si ode in lontananza. «DOWN!” urla immediatamente Bostman. Mi lancio, nella polvere di una vecchia strada di campagna. Un'esplosione fortissima, la terra nell'aria e il suono delle schegge impazzite che attraversano ogni cosa. Siamo sotto il fuoco dell'artiglieria ucraina e io sono rimasto in mezzo alla strada. Striscio per raggiungere Botsman che, prontamente, mi afferra per un braccio e mi tira in un piccolo canale di scolo, sul lato sinistro della strada. Sono nel fango, faccia a terra, con i gomiti stretti intorno al collo e la mani sulla testa, unico e inutile riparo. All'improvviso, così come erano iniziate, le esplosioni finiscono. Mi alzo, cerco di non pensare e scatto alcune fotografie, camminando tra le case in fiamme quindi, non senza difficoltà, facciamo ritorno alla trincea. La calma, quella surreale di qualche ora prima, torna a farmi compagnia, e le ore corrono veloci. Un pallido sole si affaccia dalla collina e timidamente si insinua tra le reti di protezione, il filo spinato e i blocchi di cemento. È mattina. |
Sloviansk, Ucraina, bunker sotterraneo nei pressi di Semonovka. Maggio 2014.
Una donna del piccolo villaggio di Semonovka, rimasta ferita durante il bombardamento e in stato di shock, è ora in salvo, in un piccolo bunker in cemento armato. Interrato di circa 5 metri sotto il livello del manto stradale e a pochi metri dalla barricata dei separatisti filorussi, è l'unico posto realmente sicuro nel raggio di oltre un chilometro, ma in grado di ospitare non più di 8 persone.
© Andrea Carrubba.
Sloviansk, Ucraina, villaggio di Semonovka. Maggio 2014.
Durante la notte alcuni colpi di mortaio colpiscono un piccolo villaggio nei pressi di Sloviansk. I pochi abitanti ancora rimasti nell'area fuggono lontano dalle fiamme, mentre alcuni separatisti raggiungono le abitazioni per verificare la presenza di morti e feriti. Durante il conflitto moltissime sono state le abitazioni danneggiate e centinaia le vittime tra i civili.
© Andrea Carrubba.
Sloviansk, Ucraina, barricata filorussa di Semonovka. Maggio 2014.
Con il calare della sera si inizia a combattere nell'ultimo avamposto separatista prima della postazione dell'esercito ucraino. I proiettili rimbalzano sull'asfalto, i miliziani si riparano dietro a dei blocchi di cemento armato e rispondono al fuoco. Dalle retrovie l'artiglieria pesante cannoneggia il nemico che, puntualmente, risponde al fuoco. Si combatte per conquistare Sloviansk.
© Andrea Carrubba.
Sloviansk, Ucraina, barricata filorussa di Semonovka. Maggio 2014.
Alcuni miliziani separatisti si preparano ad affontare una lunga notte in trincea nell'ultimo avamposto russo, a poche centinaia di metri dal checkpoint ucraino, sulla strada per Karkhov. Dopo innumerevoli bombardamenti, morti e feriti, turni estenuanti e viveri in scatola, il morale è sempre più basso e in pochi credono ancora che la Russia interverrà in loro aiuto.
© Andrea Carrubba.
Andrea Carrubba - Nato nel 1984, dopo gli studi universitari si diploma in Fotografia Professionale presso l’Accademia John Kaverdash di Milano e, tra gli altri, consegue i master di Fotogiornalismo e di Linguaggio della comunicazione visiva tenuti da Sandro Iovine. Fotogiornalista freelance, copre notizie nazionali ed internazionali e segue temi di carattere sociale e culturale. Ha collaborato con le maggiori testate nazionali, università, organizzazioni umanitarie, siti web e con l’editoria. Il suo ultimo lavoro … c'è stato il terremoto, a cura di Sandro Iovine, è stato presentato nelle province di Milano, Reggio Emilia, Varese, Modena e Roma. Attualmente è impegnato in più progetti, in Italia e all'estero.
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