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iKennardphillipps, Stop posters, 2005.
Courtesy gli artisti.

Afterimage. Rappresentazioni del conflitto
a cura di Valeria Mancinelli, Chiara Nuzzi e Stefania Rispoli

Un progetto, divenuto mostra, per riflettere su come ciò che vediamo permanga nella nostra memoria e contribuisca alla costruzione collettiva della realtà

Quando osserviamo a occhio nudo una qualsiasi sorgente luminosa, chiudendo le palpebre abbiamo la sensazione che la sua impronta lucente continui a persistere sulla nostra retina nonostante la scomparsa dello stimolo luminoso che l’ha prodotta. Si tratta di un’illusione ottica, di tipo percettivo, generata dalla fisiologia dell’occhio e nota con il nome di immagine postuma o immagine fantasma. Afterimage, in inglese.
Qualcosa di concettualmente molto simile accade però anche quando osserviamo un’immagine che per forma, contenuti e rimandi, ci colpisce nel profondo. Pensiamo ad esempio alle immagini di guerra. Complice la memoria – sedotta spesso da una ben poco equilibrata combinazione di studium e punctum, per usare una terminologia cara a Roland Barthes – tali immagini continuano infatti a rimanere impresse nella nostra mente anche dopo che la loro visione è cessata, influendo di fatto sul nostro modo di leggere e interpretare la realtà dei fatti di cui portano traccia.
Partendo da questo presupposto, ed estendendo quindi per eccesso il significato di immagine postuma, Valeria Mancinelli, Chiara Nuzzi e Stefania Rispoli hanno provato a tessere un discorso in parallelo per indagare le potenzialità della rappresentazione pubblica delle immagini belliche e la persistenza che queste hanno nella costruzione collettiva della realtà. È nato così il progetto Afterimage. Rappresentazioni del conflitto, attualmente in mostra presso la Galleria Civica di Trento.
Vincitore del CXC Call for Curators, il bando nazionale per curatori under 35 indetto dal Mart lo scorso autunno, il progetto indaga la relazione esistente tra immagini e conflitto nell’epoca contemporanea, proponendo un momento di riflessione sullo statuto e sulla produzione delle immagini che narrano la guerra, apparentemente sempre più libere e autonome nelle forme e nelle modalità d'uso.
L’assunto di partenza è che oggi, in un’epoca dominata dalla cosiddetta guerra permanente, dal sovraccarico di informazioni e in cui è possibile raggiungere virtualmente pressoché ogni parte del mondo, la circolazione di queste immagini – inserite in una molteplicità di contesti di fruizione, talvolta estremamente diversi tra loro – e lo statuto di veridicità di ciò che viene mostrato abbiano assunto un ruolo decisivo nella descrizione degli scenari contemporanei e nella formazione delle idee individuali e/o sociali, tanto da determinare spesso equilibri, disuguaglianze, inclusioni ed esclusioni.
Attraverso un percorso che contempla video, fotografie e installazioni e che coinvolge artisti molto lontani per età e per provenienza culturale e geografica, abbracciando un arco temporale di oltre sessant’anni, la mostra si interroga dunque su quale sia il ruolo di queste immagini nella percezione collettiva di una condizione di guerra o di pace. Si chiede, in altre parole, come la narrazione visiva influenzi oggi l’opinione pubblica, costruendo il consenso o il dissenso attorno a determinate operazioni belliche e, con esse, una certa definizione di realtà e verità.
Tutto questo per cercare di rispondere all’impellente necessità di creare e fornire nuovi strumenti critici per analizzare e comprendere una realtà sempre più complessa in cui, soprattutto in caso di conflitto, il potere persuasivo della rappresentazione sembra acquistare una portata finora sconosciuta.
La mostra si inserisce in Mart/Grande guerra 2014, l’ampio programma culturale ideato dal Mart in occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale e tuttora in corso tra Rovereto e Trento, rispettivamente negli spazi del Mart, di Casa Depero e della Galleria Civica.

[ Stefania Biamonti ]

iAung Ko, We are moving #2, 2012.
Collezione privata.

iDemocracia, We protect you from yourselves, 2013.
Courtesy Prometeogallery di Ida Pisani, Milano ñ Lucca.

iCamilla de Maffei, The invisible mountain. Sarajevo, 2013-14.
Courtesy l’artista.

iMartha Rosler, Invasion, 2008.
Galleria Raffaella Cortese, Milano.

iThomas Kilpper, War Pages, 2006 (dettaglio allestimento).
Courtesy l'artista e Nagel-Draxler Gallery, Colonia, Berlino.

LA MOSTRA

Afterimage. Rappresentazioni del conflitto
a cura di Valeria Mancinelli, Chiara Nuzzi, Stefania Rispoli
26 ottobre 2014 - 1 febbraio 2015

Civica Trento
via Belenzani, 44 - Trento
www.mart.tn.it

Orario: da martedì a domenica, ore 10,00-13,00 e 14,00-18,00.
Chiuso il lunedì.
Ingresso: 2,00 €; gratuito per minori di 14 anni e per gli Amici del Museo.


Un dettaglio dell'allestimento proposto dalla mostra Afterimage. Rappresentazioni del conflitto presso la Galleria Civica di Trento.

Gli autori in mostra - Bisan Abu-Eisheh, Mohamed Bourouissa, Stefano Cagol, Mircea Cantor, Anetta Mona Chis¸a & Lucia Tká ová, Leone Contini, Marco Dalbosco, Camilla de Maffei, Democracia, Harun Farocki, Massimo Grimaldi, Adelita Husni-Bey, Lamia Joreige, Kennardphillipps, Thomas Kilpper, Aung Ko, Nikki Luna, Francesco Mattuzzi, Pietro Mele, Aditya Novali, Ahmet Ö üt, Fabrizio Perghem, Martha Rosler, Pietro Ruffo, Giorgio Salomon, Cindy Sherman, Abigail Sidebotham, Eyal Sivan, Hito Steyerl, ZimmerFrei.

A occhi aperti. Quando la storia si è fermata in una foto
a cura di Alessandra Mauro e Lorenza Bravetta

Un libro e una mostra per rendere omaggio a una serie di fotografi che hanno documentato frammenti di storia recente altrimenti dimenticati, plasmando il nostro immaginario collettivo

«Se la tua fotografia non è buona significa che non eri abbastanza vicino». È una delle affermazioni più celebri di Robert Capa, una di quelle frasi che ritornano spesso sotto gli occhi, nelle orecchie e sulla labbra di chi si occupa a qualsiasi titolo di fotoreportage. Una massima apparentemente semplice e definitiva, che porta con sé l’impronta inconfondibile di un’epoca e che, proprio per questo, occorre contestualizzare correttamente per evitare generalizzazioni potenzialmente fuorvianti.
La sola prossimità al soggetto (fisica, ma anche emotiva, se si inserisce questa frase in uno spettro di significato più ampio) non garantisce infatti la qualità intesa da Capa. Come spiega egregiamente Joan Fontcuberta nel libro La (foto)camera di Pandora (Contrasto, 2012, p.156) «l’avvicinamento ci offre il dettaglio, ma conduce alla miopia: elimina la cornice, ci impedisce di comprendere la situazione globale. Capa si avvicina fisicamente – e così è partecipe e coinvolto – per potersi allontanare otticamente – e così spiega e fa conoscere». Non è dunque la vicinanza in quanto tale a determinare il valore di una fotografia di reportage, bensì la capacità del suo autore di inseguirla e abbracciarla, con i giusti strumenti e il dovuto tatto, per stabilire connessioni, per mettere in relazione ciò che scorre e accade al di là dell’obiettivo.
Solo così potrà permettere a chi guarda il suo lavoro di capire, di inserire “quella storia” in un quadro più grande e intricato, senza cedere alle lusinghe della semplificazione. «Insegnare i dettagli significa portare alla confusione – diceva Maria Montessori – Stabilire la relazione tra le cose significa portare conoscenza». Ed è proprio quello che hanno fatto gli autori coinvolti nella mostra A occhi aperti. Quando la Storia si è fermata in una foto, prodotta in esclusiva per gli spazi de La Venaria Reale e realizzata dal Consorzio La Venaria Reale, con Contrasto e Magnum Photos, a partire dall’omonimo libro di Mario Calabresi.
Con i loro scatti, questi fotografi hanno infatti documentato fatti e storie che, sebbene talvolta apparentemente marginali, hanno contribuito nel tempo ad aggiungere un tassello importante nella ricostruzione di alcune vicende, a fare la storia, insomma, quella con la “s” maiuscola. Perché, come spiega lo stesso Calabresi, «ci sono fatti, pezzi di storia, che esistono solo perché c’è una fotografia che li racconta». E se c’è una fotografia in grado di raccontarli, e di trasformarli in memoria storica, plasmando il nostro immaginario collettivo, significa che c’è stato qualcuno che ha saputo intercettarli, riconoscerli, anticiparli. Qualcuno che ha tenuto gli occhi ben aperti sul mondo, e la giusta distanza da esso.

[ Stefania Biamonti ]

i San Ysidro, California, 1979.
© Alex Webb/Magnum Photos/Contrasto.

i Arlington, Virginia, 25 novembre 1963.
© Elliott Erwitt/Magnum Photos/Contrasto.

IL LIBRO

A occhi aperti
a cura di Mario Calabresi

«Questo non è un libro sulla fotografia ma sul giornalismo, sull’essenza del giornalismo: andare a vedere, capire e testimoniare.»
Mario Calabresi

pagine 208
formato 16x22,4cm
fotografie 122 a colori e in bianconero
legatura cartonato dorso telato
anno pubblicazione 2013
editore Contrasto
isbn 978-88-6965-455-8
prezzo 19,90 € (16,92 € su internet)


i Robert F. Kennedy funeral train, 1968.
© Paul Fusco/Magnum Photos/Contrasto.

LA MOSTRA

A occhi aperti. Quando la storia si è fermata in una foto
a cura di Alessandra Mauro e Lorenza Bravetta
26 luglio 2014 - 8 febbraio 2015*

Reggia di Venaria (Sala delle Arti)
piazza della Repubblica, 4 – Venaria Reale (TO)
www.lavenaria.it

Orario: da martedì a venerdì, ore 9,00-17,00;
sabato, domenica e festivi, ore 9,30-19,30. Chiuso il lunedì.
Il 24 e il 31 dicembre 2014, ore 9,00-15,00.
Ingresso: 10,00 €; ridotto 8,00 €; 6,00 € per i ragazzi dai 6 ai 20 anni;
3,00 € per le scuole; gratuito per minori di 6 anni e per quanti previsti da conv.

(*) Dal 21 febbraio al 10 maggio 2015, la mostra sarà ospitata presso l'Auditorium Parco della Musica di Roma.












Alcuni dettagli dell'allestimento proposto dalla mostra A occhi aperti. Quando la storia si è fermata in una foto presso la Reggia di Venaria.



Gli autori in mostra - Abbas, Gabriele Basilico, Elliott Erwitt, Paul Fusco, Don McCullin, Steve McCurry, Josef Koudelka, Paolo Pellegrin, Sebastião Salgado, Alex Webb.

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