Vigentino, Milano.
© Alessandra Gazziola.
«La città produce tanti più residui quanto più il suo tessuto è rado. I residui sono scarsi e piccoli nel cuore delle città, vasti e numerosi in periferia»
Gilles Clément*
Accade, a volte, che siano le storie a voler farsi raccontare. Sono quelle storie che tutti conoscono ma alle quali nessuno, alla fine, presta attenzione. Questa è una di quelle.
Abitavo nella periferia milanese a pochi passi da quella terra di mezzo dove il cemento comincia a lasciare che il verde prenda il sopravvento, quel mondo all'interno dei confini cittadini che della città ha solo il nome, non di certo l'anima. Vivevo la mia quotidianità ignorando palesemente ciò che esisteva a pochi passi da me – provengo dalla campagna e mi sono trasferita in città. Non sentivo assolutamente il bisogno di tornare alle origini: uscivo di casa e voltavo le spalle a quel mondo che in seguito è diventato per me quasi un rifugio, nel silenzio. La storia, però, voleva a tutti i costi farsi raccontare. Mi addentrai per qualche centinaio di metri in mezzo al verde, per scattare qualche foto del mio quartiere, qualcosa che non contemplasse la presenza di vecchi palazzi grigi e fatiscenti. Mi annoiavo, troppe volte avevo passeggiato nella campagna veneta, nulla stuzzicava la mia curiosità. Nulla finché un improvviso temporale mi costrinse a cercare riparo. Ed è qui che, complice la pioggia battente, la noia e il silenzio, cominciai ad ascoltare ciò che la storia aveva da raccontare. Mi resi conti che ero a Milano, ma quella non era Milano. Non la Milano che tutti conoscono o pensano di conoscere. Non era nemmeno la campagna che io conoscevo, era qualcos'altro. Rapita da queste considerazioni, continuai ad ascoltare questo strano racconto. Continuai ad addentrarmi senza sapere dove sarei arrivata. Non mi importava. Dovevo vedere. Scoprii un mondo morente, spesso lasciato a marcire in solitudine, che urlava a gran voce di essere ricordato, ma allo stesso tempo cercava di nascondersi da me, quasi il rivelarlo lo avrebbe privato di quel qualcosa che lo rende così speciale. Tutti conoscono il mondo degli orti cittadini di Milano, legali e abusivi. Tutti hanno visto, in parte, chi più chi meno, ciò di cui sto parlando, ma nessuno ha dato troppa importanza a questa storia. Tutti sanno del popolo degli orti, spesso pensionati e vedovi che si ritagliano del tempo per portare in tavola frutta e verdura fresche e vivono in un mondo dove le porte sono fatte di reti per i materassi, gli alberi indossano collane fatte con le sorpresine degli ovetti Kinder, i cavallini a dondolo vivono allo stato brado e le strade sono fatte di tappeti. |
Ci sono pittori che lasciano la loro arte all'aperto, spaventapasseri che indossano uniformi militari e bambolotti un po' ovunque, a voler vedere.
Ho comprato una mappa di Milano e mi sono chiesta dove potessi trovare tracce della storia. Ho studiato la zona e ho cominciato un lungo percorso, fatto di molti viaggi in autobus con lo sguardo aguzzato per cercare indizi che mi avrebbero condotta dove volevo arrivare, e di molti tratti a piedi, in mezzo alla campagna, tra campi di cereali, i piedi affondati nel terreno a volte fangoso, senza sapere dove avrei deciso di fermarmi. Mi hanno aiutato le bandiere, perché la storia ama le bandiere, ama rivendicare una precisa identità: dove le vedevo sventolare probabilmente avrei avuto qualcosa da raccontare. Mi hanno aiutata le porte. Sì, le porte, perché questo mondo si nasconde dietro a molte porte, porte che talvolta è stato impossibile aprire – non dimenticate quanto è impaurita la storia all'idea di farsi scrivere. Dove avessi visto delle porte in mezzo alla vegetazione, avrei trovato il passaggio per la mia personale Tana del Bianconiglio. A distanza di mesi, è stato per me difficile vedere quel mondo, ormai quasi familiare, che veniva distrutto, talvolta anche davanti ai miei occhi. L'avanzare dell'urbanizzazione e la speculazione edilizia, accompagnate dal dogma che ciò che è abusivo va distrutto, hanno fatto in modo che di parte di ciò che ho documentato ormai rimangano solo qualche foto e molti ricordi. In altri casi, morto il proprietario di un orto abusivo, è morta di conseguenza anche quella piccola parte di sé che donava al territorio. Purtroppo, quando per molto tempo tu e la storia dividete la vita, quando ti alzi la mattina ansioso di scoprire cosa di nuovo ti porterà la giornata, quando la storia ti ha ormai detto tutto ciò che doveva dirti, ne senti la mancanza e vorresti ricominciare, raccontarla di nuovo, ma non lo puoi fare. Non lo puoi fare perché ormai questa storia, quella che è diventata la tua storia, è cambiata.
[ Alessandra Gazziola ] (*) - Gilles Clément, Manifesto del Terzo paesaggio, Quodolibet, Macerata, 2005; pag. 14. |
In alto: Ripamonti, Milano (a sinistra); Boffalora, Milano (a destra). © Alessandra Gazziola.
In basso: Barona, Milano (a sinistra); Cascina Gobba, Milano (a destra). © Alessandra Gazziola.
In alto: Quarto Cagnino, Milano (a sinistra); Gorla, Milano (a destra). © Alessandra Gazziola.
In basso: Lorenteggio, Milano (a sinistra); Boffalora, Milano (a destra). © Alessandra Gazziola.
Alessandra Gazziola - Nasce in Veneto nel 1977. Arriva alla fotografia dopo un percorso pittorico durato dieci anni. Diplomata in fotografia si appassiona al fotodocumentarismo. Si definisce una scrittrice. Racconta storie tramite immagini statiche, una dopo l'altra esse compongono suggestive frasi di racconti che riescono a essere letti solo da chi vuole davvero vedere.
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