© Fulvio Bortolozzo.
«Imparo a vedere. Non so perché, tutto mi penetra più a fondo e non rimane dove prima sempre finiva. Ho in me recessi che ignoravo. Adesso tutto finisce lì. Non so che vi succede»
Rainer Maria Rilke*
La gestione progettuale di un lavoro fotografico è soggetta a infinite varianti. Tra queste la maniacale pianificazione su base cartografica risulta essere uno degli approcci più comuni tra chi si occupa di paesaggio. Non è però certo l'unico praticato. C'è infatti anche chi si ispira alle passeggiate degli intellettuali francesi dell'Ottocento: «Lo stesso concetto di
walk around, cioè l’andare a spasso senza meta e intenzione
precisa – spiega Fulvio Bortolozzo – origina dalle passeggiate dei
flâneur parigini, poi divenute dadaiste, surrealiste e situazioniste. Un metodo di lavoro indeterminato che ritengo il più adatto per attraversare e osservare gli spazi antropizzati dell’urbanesimo contemporaneo». La ricercata casualità degli incontri fotografici con la città rimanda alla mente, per associazione, la poetica punk elogiata da Rebecca Solnit. Quest'ultima, infatti, afferma che a dispetto della volontà dei pianificatori, le città sarebbero il prodotto dell'inconscio. Quindi, nonostante la volontà di portarle a uno stato di coscienza, finirebbero inevitabilmente per piombare nell'inconscio e solo così verrebbero realmente abitate. (1) La casualità dell'incontro fotografico tra l'autore e la città assomiglia dunque a una imprevedibile catena di rivelazioni che si susseguono in modo non prestabilito. «La procedura operativa – afferma Fulvio Bortolozzo – prevede che le fotografie siano realizzate secondo i canoni della restituzione prospettica e non vengano preparate o pianificate, ma che accadano nel corso di spostamenti per motivi personali o di lavoro». |
Di fatto in questa ostentazione di una sorta di
grado zero dell'approccio fotografico, l'autorialità introduce comunque delle regole che intervengono deterministicamente. La stessa scelta di seguire un canone di restituzione prospettica, o addirittura quella della dichiarata non pianificazione, impongono una linea all'interno della quale si sviluppa il lavoro. Se è vero che, come sostiene Fulvio Bortolozzo, «in questo
modo, l’eventuale concatenazione logica tra le immagini non viene mai prestabilita a priori, ma lasciata aperta a ogni possibilità d’incontro occasionale e di ulteriore sviluppo» è innegabile che il concetto non sia troppo dissimile da quell'idea di abitare intesa come «comunicazione diretta tra l'inconscio della città e l'inconscio degli abitanti» (2).
[ Sandro Iovine ] --------------------------------------------(*) - Reiner Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge, Adelphi, Milano, 2001; pag. 11. (1) - cfr. Rebecca Solnit, A Field Giudeto Getting Lost, Viking, New York, 2005. (2) - Franco La Cecla, Contro l'architettura, Bollati Boringhieri, Torino, 2008; pag. 22. |
© Fulvio Bortolozzo.
DIETRO LO SCATTO
con Fulvio Bortolozzo
Fulvio Bortolozzo racconta a FPmag come è nato e si è sviluppato il lavoro
Walk around Milano, offrendo un'interessante apertura sul suo modo di operare sul campo.
Fulvio Bortolozzo - È nato nel 1957 a Torino, dove vive e lavora. Si diploma nel 1980 alla Scuola di Scenografia dell’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Usa la fotocamera come dispositivo di osservazione. Espone le sue fotografie in Italia e all’estero. Dal 1998 è docente nei corsi triennali dell’Istituto Europeo di Design di Torino. Dal 2008 al 2014 scrive nel blog Camera Doppia riflessioni sul fotografico e dintorni. Dal 2009 al 2011 dà vita al progetto culturale Osservatorio Gualino, nell'ambito del quale cura la mostra-concorso Lens Based Art Show (2010). Nel 2013 apre su Facebook il gruppo di discussione We Do the Rest. Nel 2014 cura il progetto fotografico editoriale Questo Paese e apre il blog personale Fulvio Bortolozzo. Svolge inoltre attività didattiche e culturali nel contesto delle arti visive.
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