Matera, 1997.
© George Tatge.
«Se un paesaggio concreto è immortalato su carta fotografica o su una tela gli uomini possono adoperarsi per conservarne l'immagine. Essa entra a far parte della loro cultura, benché il paesaggio, in quanto parte della natura, continui a evolversi dopo l'istante della contemplazione»
Hansjörg Küster*
Il rapporto tra il paesaggio e la sua raffigurazione implica necessariamente il filtro della cultura all'interno della quale la rappresentazione iconica prende vita. Questa considerazione mette in luce un problema topico relativo al rapporto tra percezione e rappresentazione. Normalmente siamo abituati ad attribuire all'immagine fotografica un valore oggettivante rispetto al proprio referente. Ma questo preconcetto relativo all'immagine fotografica, fondato per lo più sulla natura di messaggio denotato propria dell'analogon, entra in risonanza in modo evidente con la realtà. Di fatto la fotografia, come tutte le attività imitative, è contemporaneamente latrice di due messaggi. Il primo, denotato, è costituito dallo stesso analogon, mentre il secondo, connotato, è quello in cui il portato culturale della società all'interno della quale viene recepito governa l'attribuzione di significato, esprimendo di riflesso il pensiero della collettività. In altre parole, la percezione di un'immagine fotografica, fortemente deviata dalla considerevole pienezza della sua analogia con il referente, rende spesso la connotazione non sempre percepibile a livello di messaggio. Lo spettatore medio, attivandosi come destinatario, mette in atto una serie di strategie interpretative che attingono a una riserva tradizionale di segni. È all'interno del paradosso barthesiano della coesistenza di un messaggio denotato e connotato nella stessa immagine fotografica, che si sviluppa l'attività dell'autore cosciente degli strumenti di cui dispone. |
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La ricerca di un livello che metta in discussione il repertorio dei codici interpretativi, stravolgendone il valore connotativo, è alla base di una visione che distaccandosi dal ground zero interpretativo, permetta di aprire spiragli su un altro livello di percezione. Attraverso associazioni, allineamenti, accostamenti incongrui rispetto al percepito che la quotidianità permette a ognuno di noi di esperire, si dispiegano quei sottotesti che relegano il referente a un valore simbolico. L'aspetto più interessante, però, è il punto interrogativo che aleggia costantemente sullo sfondo delle immagini. Ad esse non si chiede di fornire una risposta esaustiva, ma solo di provocare l'interrogazione. Sono un costante invito allo spettatore ad affacciarsi attraverso lo spiraglio aperto per vedere cosa si cela al di là di esso. Ma scoprirlo è compito del destinatario. L'autore non si pone nella condizione di definire un significato, ma registra il dubbio, l'assenza di certezza che la situazione che ritaglia nello spazio del cosiddetto reale, per mezzo dell'inquadratura, offre alla sua contemplazione. La risposta potrebbe anche non esserci, ma questo del resto non è importante. Quel che conta sono gli interrogativi potenziali che vengono messi in atto. [ Sandro Iovine ]
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Veli neri, Viterbo, 2000.
© George Tatge.
DIETRO LO SCATTO
con George Tatge
George Tatge racconta a FPmag come è nato e si è sviluppato il lavoro
Italia metafisica, offrendo un'interessante apertura sul suo modo di operare sul campo.
Il video riporta solo un estratto della lunga intervista rilasciataci dal fotografo, tuttavia sarà presto possibile visionarlo nella sezione notizie/libri.
George Tatge - Nato a Istanbul nel 1951 da madre italiana e padre americano, Tatge ha trascorso l’adolescenza tra Europa e Medio Oriente. Si trasferisce quindi negli Stati Uniti, dove si laurea in letteratura inglese al Beloit College in Wisconsin e comincia a studiare fotografia con l’ungherese Michael Simon. Nel 1973 si trasferisce in Italia, lavorando prima a Roma come giornalista poi a Todi, dove soggiorna per dodici anni scrivendo e portando avanti le sue ricerche fotografiche. La sua prima mostra in Italia è organizzata, nello stesso anno, alla Galleria Il Diaframma di Milano. Il primo libro, Perugia terra vecchia terra nuova, esce invece nel 1984. A partire dagli anni Ottanta le sue opere entrano a far parte di collezioni importanti – tra cui quella del Metropolitan Museum di New York, della George Eastman House di Rochester, del Houston Museum of Fine Arts, del Centre Canadien d’Architecture di Montreal, della Helmut Gernsheim Collection di Mannheim e della Maison Européenne de la Photographie di Parigi – ed è coinvolto in numerosi workshop e mostre in tutto il mondo. Tra queste ultime, ricordiamo le personali alla The American Academy di Roma (1981), al MASP di San Paolo (1988) e a Villa Bardini a Firenze (2008), nonché le esposizioni realizzate alla Biennale di Venezia (1995), al Reiss-Engelhorn Museum di Mannheim (2003), alla The George Eastman House di Rochester (2004), al Museo Peggy Guggenheim di Venezia (2005) e al MAXXI di Roma (2007). Dal 1986 al 2003 è inoltre dirigente tecnico-fotografico della Fratelli Alinari di Firenze, per la quale conduce campagne fotografiche su tutto il territorio italiano pubblicate poi in numerosi volumi. Nel 2010 gli viene assegnato il Premio Friuli Venezia Giulia per la Fotografia. Attualmente vive a Firenze.
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