Utensili, macchinari, persone, oggetti, archivi, ambienti sociali e produttivi si accavallano, ordinati, negli occhi di chi, anche distrattamente, attraversi le sale della MAST.Gallery di Bologna. Quasi un inventario, un catalogo enorme di situazioni diverse che sembra chiedere al visitatore, complice l'apparente monotonia delle forme e del punto di ripresa quasi sempre centrale, di dirottare l'attenzione oltre il confine del visibile e di aprirsi senza indugio a nuovi approdi interpretativi, a nuove riletture della realtà.
Non è dunque semplice intercettare immediatamente il portato del lavoro della fotografa indiana Dayanita Singh attualmente esposto, sotto il titolo di Museum of Machines, presso la Fondazione MAST di Bologna. E non lo è soprattutto perché, per entrare in contatto con la narrazione proposta dall'autrice, occorre prendere in considerazione ogni dettaglio, allestimento compreso, liberarsi di ogni tipo di aspettativa, rinunciare alla possibilità di definire quanto visto attraverso una etichetta di genere e, prima ancora, dimenticare quell'immaginario variopinto e pittoresco che si scatena immediatamente ogni qual volta la parola India faccia il suo ingresso sulla scena.
Dayanita Singh, Senza titolo. Dalla serie File Museum, 2012. Stampa a pigmento d'archivio, 30x30cm. Courtesy of the artist and Frith Street Gallery, London. © Dayanita Singh.
L'itinerario ideato da Urs Stahel, curatore della mostra e della galleria bolognese, è infatti labirintico. Impone accelerazioni, pause, prese di distanza e ritorni che ben si accordano con la produzione e le modalità espositive di Dayanita Singh. Come spiega il testo introduttivo della mostra «L’artista ha infatti elaborato una forma espositiva molto originale: attraverso una serie di arredi in legno – paraventi, carrelli, tavoli che riprendono il concetto di griglia modernista – costruisce ciò che lei stessa definisce musei: strutture mobili, portatili, modulabili, che permettono di conferire al suo lavoro una fisionomia mutevole e un significato sempre nuovo. In questi musei, attraverso un racconto per immagini privo di parole, Singh rielabora storia personale e storia collettiva, vita privata e vita pubblica, presenza e assenza, realtà e sogno, trasformandoli in un insieme frammentario ma pervaso da un profondo sentimento di umanità, dall’interesse e dal rispetto profondo per tutto ciò che la circonda».
Dayanita Singh, Senza titolo. Dalla serie Museum of Machines, 2013. Stampa a pigmento d'archivio, 38x38cm. Courtesy of the artist and Frith Street Gallery, London. © Dayanita Singh.
Nata a Delhi nel 1961, Dayanita Singh è oggi una delle protagoniste indiscusse della scena artistica internazionale. Una fotografa di fama che ha scelto consapevolmente, dopo il fortunato esordio nel fotogiornalismo degli anni Novanta, di prendere le distanze dal linguaggio giornalistico e dalla prospettiva asfittica che voleva il racconto del suo paese perennemente imbrigliato a una visione immutabile e falsante, tipicamente coloniale. Ha così sviluppato una ricerca fotografica propria, per certi versi intima, documentaristica e poetica insieme, e iniziato a dar vita a progetti e pubblicazioni in cui il racconto della società indiana passa attraverso immagini che si susseguono e si accostano, si chiamano e si respingono secondo criteri, displays e ritmi narrativi sempre nuovi.
Un dettaglio dell'allestimento proposto dalla Fondazione MAST di Bologna per la mostra Dayanita Singh. Museum of Machines. © Fondazione MAST.
La sua è una narrazione frammentaria che, dietro l'apparente immediatezza della catalogazione imperfetta, cela visioni, rimandi, intenti e una lettura della società indiana estremamente attenta e raffinata. Oltre a Museum of Machines – la serie che dà il titolo all'esposizione, acquisita di recente dalla Collezione MAST – il percorso espositivo propone le serie Museum of Industrial Kitchen, Office Museum, Museum of Printing Machines, Museum of Men, File Museum e alcune altre opere per un totale di circa 300 fotografie. Immagini che, nell'insieme, parlano di lavoro e di potere, dell'India che produce e di quella che consuma, ampliando lo spettro narrativo fino a includere la vita stessa, la sua gestione quotidiana e la sua archiviazione.
Dayanita Singh, Senza titolo. Dalla serie Museum of Industrial Kitchen, 2016. Stampa a pigmento d'archivio, 30x30cm. Courtesy of the artist and Frith Street Gallery, London. © Dayanita Singh.
Esemplare in questo senso è la serie File Museum, una colata di immagini realizzate nelle stanze in cui vengono custoditi archivi governativi e documenti processuali. Pile di faldoni, raccoglitori, fogli e scaffali che invadono con prepotenza ogni angolo di pressoché ogni inquadratura, circondando e inghiottendo tutto, comprese le poche figure umane che compaiono nella serie. È il ritratto incompleto, ma efficace, di una burocrazia opprimente, caotica e indifferente, che fagocita esistenze e restituisce dati. Che mastica fatti ed esperienze private e rigurgita fredde verità ufficiali. Che cerca di mettere ordine laddove regna il caos della convivenza sociale e civile. «Nel regno dei documenti – si legge nella sala adibita all'esposizione di questa serie – la lotta non è tra il bene e il male, ma tra l'ordine e il caos» (Aveek Sen, critico e scrittore).
Dayanita Singh, Senza titolo. Dalla serie Museum of Men – Recent, 2013. Stampa a pigmento d'archivio, 30x30cm. Courtesy of the artist and Frith Street Gallery, London. © Dayanita Singh.
Sebbene sia dunque il lavoro, la sua organizzazione, il suo rapporto con il potere e la sua percezione sociale il motore di questa mostra, l'espediente narrativo ed espositivo utilizzato ti porta a fare un passo oltre. Uno scarto cognitivo grazie al quale è possibile scorgere e riconoscere dietro questo diluvio di oggetti, macchinari e ambienti produttivi, l'insistenza di scenari ed esperienze condivise o condivisibili. Il frammento rivelatore, che acquisisce senso solo nella sua accumulazione ingorda e nella sua continua rielaborazione a posteriori. Espediente già visto e utilizzato in passato, certo, ma nell'epoca della cosiddetta società fluida e della dittatura della post-verità è forse la cosa che più si avvicina al concetto di documentazione. Formule narrative che provengono dal passato, ma si aprono alla contemporaneità, spalancano la porta a nuovi modi di concepire, custodire e tramandare la memoria collettiva. Musei, appunto. Musei della contemporaneità di domani. [
Stefania Biamonti ]
Dayanita Singh. Museum of Machines
MAST.Gallery, via Speranza, 42 - Bologna
12 ottobre 2016 – 8 gennaio 2017
orario: da martedì a domenica, ore 10,00 - 19,00 | lunedì chiuso
ingresso: gratuito
info: segreteria@fondazionemast.org
www.mast.org
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[ RISORSE INTERNE ]
◉ [ post.it ] Omaggio al cinema indiano
◉ [ eventi ]
Thomas Struth. Nature e Politics
[ RISORSE ESTERNE ]
◎ Dayanita Singh
◎ Fondazione MAST
pubblicato in data 25-11-2016 in NOTIZIE / OPINIONI
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