Anna D’Elia, critico d’arte e narratrice, ha sempre tenuto in grande considerazione la fotografia e nel 2018 ha pubblicato il fortunato volume Fotografia come terapia. Attraverso le immagini di Luigi Ghirri che, come recita il titolo stesso, è incentrato sul concetto di fotografia come strumento per un rapporto più profondo e proficuo tra il guardare, o meglio il vedere, e il mondo.
Arriva adesso in libreria il suo più recente volume Vederscorrere. L’arte che salva incentrato sul tanto discusso ruolo dell’arte nel difficile campo che potremmo definire dell’etica o di sapore teleologico o quanto meno possibilista sulla sua capacità di incidere, positivamente, sulla nostra vita.
Sappiamo quanto sia abusata, in questi ultimi tempi così critici sotto tanti punti di vista ‒ ideologico-filosofici oltre che economico-politici ‒ l’espressione la bellezza salverà il mondo, dove il concetto di bellezza tende a identificarsi troppo in fretta con il più ampio concetto di arte. Sgombrato il campo, per amor di chiarezza, dalla totale identificazione tra bellezza e arte, a meno che il sostantivo qualificativo non sia concepito in un senso più ampio, dove la bellezza può coincidere anche e senza problemi con l’idea di perturbante se non di drammatico, l’idea che l’arte possa salvare, nel senso di incidere, anche per poco o pochissimo, sulla società e sulle nostre vite risulta sempre una scommessa sulla quale però conviene sempre puntare.
Agnese Purgatorio, Dalla clandestinità, 2014, collage digitale, 100x140cm. © Agnese Purgatorio. Courtesy Podbielski Contemporary.
Ecco allora che nel volume di Anna D’Elia prende corpo un complesso discorso in cui si analizzano i lavori e le personalità di alcuni grandi maestri della storia dell’arte ‒ da Van Gogh a Bacon ‒ per approdare ad alcune operazioni artistiche consolidate dei nostri giorni come le famosissime performance di Marina Abramović o le opere di Christian Boltanski o di Joseph Beuys fino ad alcuni più nostrani artisti di area barese ‒ dove opera principalmente Anna D’Elia ‒ come Pino Pascali, Chiara Fumai, Gianni Leone e Agnese Purgatorio. Tra questi ultimi Gianni Leone e Agnese Purgatorio sono due autori che si servono della fotografia: il primo in modo esclusivo, autore della generazione del famoso progetto Viaggio in Italia e quindi con immagini legate prevalentemente al paesaggio; la seconda che manipola la fotografia per trarne delle opere trasversali, dove è forte la contaminazione tra fotografia e performance.
Agnese Purgatorio, Still da The Route of Evanescence. © Agnese Purgatorio. Courtesy Podbielski Contemporary.
Tra le tante sollecitazioni e intuizioni critiche che il volume di Anna D’Elia solleva ‒ non potendole in questa sede citare tutte ‒ accenno soltanto a questo aspetto molto contemporaneo che Agnese Purgatorio realizza con lo strumento fotografia: «Agnese Purgatorio – scrive Anna D’Elia – ha ripensato se stessa e il proprio ruolo specchiandosi nella precarietà dei clandestini, costretti a fuggire, ma impossibilitati a restare, presenze scomode e che si vorrebbe eliminare dalla vista. Fu decisivo guardare su un quotidiano le fotografie apocalittiche con le migliaia di albanesi approdati nel porto di Bari che affollavano, vent'anni fa, la nave Vlora. Di quello sbarco leggendario, Agnese Purgatorio costruisce una sequenza di immagini Fronte dell'Est (2007), in cui la realtà e il desiderio si fondono grazie al fotomontaggio».
Si tratta, questa descritta da Anna D’Elia, di una delle fotografie/opere più note nel percorso artistico di Agnese Purgatorio, forse proprio perché estremamente significativa di uno dei problemi più gravi, gli esodi di centinaia di migliaia di persone, che il nostro tempo pone alla società internazionale e italiana in particolare.
«Il collage fotografico è per Agnese Purgatorio – scrive ancora Anna D’Elia nella premessa – uno dei linguaggi per riflettere sulla condizione della clandestinità e ricollocarsi all'interno di uno spazio e di un tempo i cui confini vanno ridisegnati a partire dalla propria esperienza interiore.»
Ho citato questo esempio, di artista e della lettura critica che Anna D’Elia ne dà, per sottolineare l’aspetto più legato direttamente al tema portante del volume, quello appunto dell’arte come possibile salvezza. Un’ipotesi affascinante e che trova grande rispondenza nell’attuale pratica artistica ormai quasi interamente dimensionata sull’idea che l’arte non può più essere molto distaccata, lontana dai problemi del mondo reale, secondo vecchi schemi che risentono ancora di un tardo idealismo.
Marina Abramović, Portrait of Marina Abramović, 2016. Photo di Ruven Afanador Archivio Abramovic LLC. © MARINA ABRAMOVIC, by SIAE 2021.
Si tratta di un discorso delicato sul quale io, nel mio piccolo, mi dibatto da tempo, cercando di afferrarne oltre che il senso, in certo qual modo acquisito, il modo, o meglio i modi di questo adagiarsi completamente dell’arte sui problemi contemporanei. Perché questa operazione, legittima e comprensibile sul piano della sostanza, risulta però molto rischiosa sul piano della sua realizzazione pratica: limitandomi ad alcuni artisti citati nel volume di Anna D’Elia, se mi riesce non solo facile ma trova la mia partecipata adesione, un’opera di Boltanski faccio più fatica a entrare in sintonia con opere/performance di alcuni altri autori. Ma questa è un’altra storia, entriamo nelle considerazioni e preferenze personali: intanto prendo atto di questa altra importante tappa critica del percorso intellettuale di Anna D’Elia, una saggista che riesce in modo convincente a coniugare analisi critica e capacità espositiva/narrativa in tempi in cui molto spesso si leggono saggi e testi criptici e autoreferenziali. [ Pio Tarantini ]
RISORSE ESTERNE
◎ Meltemi Editore
◎ Pio Tarantini
pubblicato in data 15-03-2021 in NOTIZIE / FPART
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