Dopo l'ignobile vicenda del World Press Photo 2015 – da cui nessuno è uscito pulito, ma qualcuno più sporco di altri –, presentare l'incriminata mostra di Giovanni Troilo a Cortona ha un po' il sapore della richiesta di chiarezza nei confronti di quello che, a torto o a ragione, è considerato il più importante concorso in ambito fotogiornalistico internazionale. Se nella home page del sito del WPP oggi come oggi compare in bella evidenza la scritta «We inspire understanding of the world through quality photojournalism» era probabilmente necessario che si buttasse in qualche modo un sasso in uno stagno a elevato rischio di putrescenza. Non sembra del tutto casuale che a ideale corollario della mostra di Troilo ci sia stato un talk a Palazzo Vagnotti condotto da David Campbell (Consulente di Ricerca presso World Press Photo Foundation e Segretario del World Press Photo Contest dal 2014) dal titolo World Press Photo Contest 2016: Questions of Ethics and Manipulation. Durante l'incontro sono stati spiegati i criteri introdotti nella nuova regolamentazione (al momento ancora in fase di bozza) del WPP. Atto doveroso in bilico tra la necessità di stabilire delle regole dai contorni indefiniti. Necessità che non si può non notare come di fatto cozzi sovente con un discreto livello di ottusità, inevitabile per altro quando si tenta di riassumere in una norma l'infinita possibilità di variabili che può offrire il mondo dell'immagine.
Finora non ho fatto cenno alla mostra che dovrebbe costituire l'argomento di queste righe. E non l'ho fatto perché in realtà sulla mostra in sé c'è poco da dire: le foto sono viste e straviste, anche grazie al traino mediatico delle polemiche suscitate. A livello puramente personale non è un modo di fotografare, quello di Troilo, che mi appassiona, ma le capacità dell'autore di gestione del set di ripresa sono fuori discussione. Di sicuro in molti hanno notato l'assenza della fotografia che ha dato il via alle prime polemiche. Atto dovuto? Prudenza? Dal mio punto di vista ha tutto sommato poca importanza.
Di fatto la mostra, come era giusto che fosse, non ha suscitato reazioni popolari degne di nota. Che Troilo sia un ottimo fotografo non lo mette in dubbio nessuno, e le motivazioni che fornisce all'origine del suo lavoro sono pertinenti. Al di là del suo coinvolgimento familiare e personale (la famiglia nel 1956 si era trasferita a Charleroi per lavorare nell'industria dell'acciaio), l'analisi che lo muove è di indubbio interesse. Dopo due generazioni tutto è cambiato nel distretto della città belga. Il malessere sociale, percepibile in modo diffuso, è entrato a far parte della vita della gente. Le strade sono sempre più abbandonate, le aree industriali vengono inghiottite dalla vegetazione spontanea, neppure troppo lentamente. In una misura di scala si assiste a un processo in atto un po' in tutta Europa. «Metà della mia famiglia vive ancora lì – afferma Troilo – e questo spiega l’accesso immediato e privilegiato che ho avuto al mondo catturato dalle mie fotografie. Con le mie fotografie metto a disposizione la mia realtà. Non miro a una conclusione, voglio che la gente inizi a porsi delle domande. Questo lavoro conta sull’approccio attivo di chi guarda, non su quello passivo. Chi guarda deve vacillare».
E forse Troilo avrebbe meritato di essere giudicato con maggiore competenza e, forse, anche serietà da parte di chi prima lo ha innalzato sugli scudi e poi lo gettato nella polvere scomparendo nel nulla. [ S. I. ]
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LA VILLE NOIR, THE DARK HEART OF EUROPE
di Giovanni Troilo
Palazzo Ferretti | fino al 27 settembre 2015
ingresso: 5,00 €
pubblicato in data 25-07-2015 in NOTIZIE / MOSTRE
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