Seydou Keïta (Bamako, 1921 – Parigi, 2001) è da molti considerato il padre della fotografia africana. Inizia a lavorare come fotografo nella capitale maliana che gli ha dato i natali nel 1948, in un momento in cui la fotografia sta conoscendo un'espansione che raggiungerà il suo massimo a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta. La diffusione della fotografia intesa come rappresentazione del meglio di sé diventa accessibile ai più e l'attività del fotografo non è considerata come una pratica artistica, bensì come una fiorente attività commerciale.
L'allestimento della mostra Le studio des icônes di Seydou Keïta presso Garage a La Gacilly in occasione di Festival Photo La Gacilly 2017. Nella fascia superiore si intravedono le fotografie di Malick Sibidé. © FPmag.
Ma cosa permette a Seydou Keïta di distinguersi nel panorama di Bamako, diventando presto uno dei fotografi più richiesti della capitale? Soprattutto la capacità di rapportarsi con i suoi clienti che gli consente, attraverso una cura estrema nella scelta dei fondali e degli accessori, di tirar fuori dai soggetti sempre il meglio. Ne consegue che uomini, donne, ragazzi, coppie, quando vengono fotografati da Seydou Keïta, trasudano una bellezza interiore che trascende dall'aspetto esteriore.
La mostra di La Gacilly è allestita in modo inusuale e che personalmente trovo estremamente intelligente. Permette infatti di ammirare in contemporanea le immagini di Seydou Keïta, disposte nella parte inferiore della parete, e quelle Malick Sibidé, nella parte superiore, praticamente sovrapposte. Il confronto tutt'altro che pellegrino per chi conosce il lavoro di entrambi gli autori, che non di rado adottano soluzioni formali e compositore analoghe, permette di sottolineare quanto esposto precedentemente.
L'allestimento della mostra Le studio des icônes di Seydou Keïta presso Garage a La Gacilly in occasione di Festival Photo La Gacilly 2017. © FPmag.
Se in Keïta quella che emerge quasi sempre è la solarità dei personaggi raffigurati, in Sibidé tende a prevalere un certo senso di malinconica staticità che sembra a volte sconfinare in tristezza.
Differente nell'intento narrativo (da una parte una raffinata volontà che definirei, forzando il termine nel suo significato, quasi agiografica, dall'altra una pulsione maggiormente rivolta verso la documentazione) i lavori dei due fotografi viaggiano comunque paralleli nella rappresentazione della società della capitale maliana.
Infine, una nota a margine sui testi che accompagnano la mostra in cui l'incontenibile nazionalismo d'oltralpe, sia pure con garbo, emerge in tutto il suo fulgore. L'estensore di tali testi, infatti, non è riuscito a non sottolineare, con una pertinenza tutta da dimostrare, che il primo apparecchio fotografico ricevuto in dono dallo zio, era lo stesso modello di fotocamera con cui esordì Henri Cartier-Bresson. Un dato non certo fondamentale per la comprensione di un autore, ma che in compenso riesce a far implicitamente ricadere in un ambito culturale che non gli compete, ma profuma di imprimatur alla sua grandezza, quasi come se potessimo considerare il valore di Keïta per analogia con il dato biografico condiviso con il francesissimo e celebrassimo Cartier-Bresson. Analogia stentorea oltre che irrilevante. [ Sandro Iovine ]
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LE STUDIO DES ICÔNES
di Seydou Keïta
Garage, 3, rue du Menhir – La Gacilly (Francia)
3 giugno – 30 settembre 2017
ingresso: libero
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◎ Seydou Keïta
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pubblicato in data 11-08-2017 in NOTIZIE / MOSTRE
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