Avete preso un mezzo pubblico di recente? Non importa se si trattava di un treno, un autobus o un tram, di sicuro spero non fosse un taxi per le ragioni che tra poco saranno evidenti. La scena cui avete assistito è sempre la stessa: donne, uomini, ragazze, ragazzi, bambine e bambini tutti risucchiati all’interno del display del proprio cellulare, avulsi dal contesto reale e sprofondati nell’universo dei social media.
Con un’evidente generalizzazione, a tenere banco sono le immagini e le performance più o meno insensate che si susseguono sullo schermo. Sempre di più il nostro contatto con il mondo esterno passa quindi attraverso una finestra di pochi centimetri quadrati, ma in che modo questo influisce sulla nostra percezione delle immagini e sulla capacità di lettura delle stesse?
Erik Kessel, 24 hours in photo, 2011. © Erik Kessel.
Al momento la piattaforma che riscuote maggior successo per quanto riguarda la condivisione delle immagini è Instagram, dove è possibile trovare una quantità tendente all'infinito di immagini, soprattutto di fotografie, con l’aggravante di essere proposte come un flusso continuo che si rinnova costantemente. A questo proposito è difficile non ricordare come già nel novembre del 2011 Erik Kessel avesse provocatoriamente riempito un’intera stanza di considerevoli dimensioni con le stampe in piccolo formato delle fotografie caricate nell’arco di ventiquattro ore dagli utenti della antesignana piattaforma Flickr. Si parlava di circa 350.000 immagini. Appena cinque anni dopo le stime di Instagram indicavano nello stesso arco di tempo un volume di circa ottanta milioni di immagini…
© Brett Jordan.
Oltre a chiederci, legittimamente, cosa ce ne dovremmo fare di questo inquinamento visivo, avremmo forse il dovere di indagare sulle modalità di fruizione di questo oceano di immagini. Se ci fermassimo ad osservare il comportamento dei nostri compagni di viaggio durante uno spostamento sui mezzi pubblici, potremo facilmente constatare come l’assoluta maggioranza non rimane che pochi istanti su ogni singola schermata. Se invece ci concentriamo sulle statistiche, magari quelle del nostro profilo, potremo facilmente constatare che le immagini maggiormente gradite sono quelle che riguardano gruppi di persone e quelle in cui prevalgono forti contrasti cromatici e strutture compositore estremamente sintetiche. Del resto a un corso di aggiornamento per giornalisti dedicato a Instagram fu in modo chiaro ed esplicito descritta la foto che funziona sui social: ombrellone rosso su cielo blu…
C’è però un altro interrogativo che dovrebbe scaturire da quest’ultima considerazione: fino a che punto possiamo realmente leggere una fotografia sullo schermo di un cellulare? La semplificazione massificante proposta dal docente del su citato corso di aggiornamento, ancorché umiliante per chi si occupa seriamente di fotografia, non era poi così infondata. A fronte di un pubblico distratto che utilizza in modo prevalente il piccolo schermo di un cellulare, dover identificare solo pochi elementi facilmente, rende l'immagine più fruibile. Vero quindi, ma questo produce una spirale che riduce sempre di più le capacità di comprensione dello spettatore medio, assuefacendolo a un minimalismo in cui si perdono le sfumature e i dettagli che sono le fondamenta del pensiero generativo dell’autore.
Prendiamo ad esempio le immagini di Pino Musi e provate a guardarle sul cellulare. Poi con calma aprite la stessa pagina su un computer, fosse anche un portatile con monitor da 13 pollici. Le stesse fotografie che poco prima avevate visto in dimensioni ridotte, poco più di miniature a essere sinceri, vi appariranno ora in fullscreen. A pieno schermo potrete finalmente scoprire una perfezione tecnica e formale, una qualità, che dal cellulare avreste potuto solo immaginare e solo a patto di conoscere l’opera di Pino Musi. Se poi siete in possesso di un monitor da almeno 24 pollici potrete godere di un’esperienza realmente immersiva che vi permetterà di entrare davvero in contatto con la sensibilità e il pensiero dell’autore scoprendone la profondità oltre che la bellezza, condividendone l'esperienza.
Una constatazione scontata certo, ma il lavoro a contatto quotidiano con gli studenti dell’Accademia di Belle Arti e con quelli di FPschool, la fa apparire assai meno banale di quanto non possa sembrare a prima vista, costringendomi a ricordare tutti i giorni, con un’espressione in odore di clickbaiting, che anche in fotografia le dimensioni contano. [ Sandro Iovine ]
pubblicato in data 30-01-2023 in NOTIZIE / OPINIONI
PinoMusiFPmag
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