Leggere e scrivere: sembra poco, il primo passo. La Fotografia è troppo giovane rispetto alle sorelle: letteratura, musica, danza, pittura; così quando si prova a spiegare cosa vuol dire interpretare una fotografia o realizzarla con un preciso intento comunicativo, non si puo' fare a meno di mutuare termini relativi a queste discipline.
Spesso si fa uso di vocaboli propri della semiotica perché parliamo di linguaggio, un codice che funziona appieno solo se condiviso. Se possiamo immaginare che alcuni meccanismi siano naturalmente riconosciuti, molti di più sono gli elementi che hanno una base culturale o storica, e questi possono evolvere. Il linguaggio fotografico è qualcosa che si impara o si dovrebbe imparare. Anche chi non produce fotografie per professione si trova quotidianamente a confrontarsi con le immagini e in mancanza di un’educazione alla lettura perderà contenuti e, cosa più grave, ne subirà l’influenza senza sapere se desidera opporsi.
Basti pensare al potere della pubblicità che propone ideali e modelli in un circolo incrementale in cui viene dato al pubblico ciò che vuole inculcando allo stesso tempo desideri e aspettative. Alla fine del processo è cambiato il sentire comune e chi non ha saputo leggere, inerme, si ritrova diverso, formattato e pronto per accogliere il prossimo indottrinamento.
Nel workshop di febbraio, Sandro Iovine ha iniziato mostrandoci esempi di elementi plastici e componenti utili al ritmo di una sequenza di immagini. Poi è stata la volta di Patrice Terraz che ha mostrato alcuni dei sui reportage da cui è risultata evidente la sua scelta di affrontare anche le realtà più marginali con grande rispetto e la volontà di andare al di là degli stereotipi. Suo era anche il compito di scegliere dove sguinzagliarci per la parte pratica del workshop e, dopo vari sopralluoghi, ha optato per Monreale, un paese nelle immediate vicinanze di Palermo; unica indicazione: cercare qualcosa che ritenessimo adatta ad essere raccontata in maniera personale.
Qui comincia, per forza di cose, la parte individuale del racconto. Avendo salutato colleghi e insegnanti inizio a vagare per Monreale e dopo aver attraversato l’intero paese senza essere particolarmente attratto da alcunché, decido di farmi indicare un artigiano disponibile ad accogliermi nel suo laboratorio; unico intento a questo punto è fare il compitino e dare anche io in pasto ai due amabili mastini qualcosa su cui lavorare per la fase finale di lettura. L’artigiano, Salvatore, è un mosaicista, ha una bella bottega e dopo essermi presentato comincio una chiacchierata, per fortuna piacevole e interessante, per sapere quanto più possibile del suo lavoro e della sua storia. Quello che porto a casa è un servizio fotografico molto convenzionale. La grande disponibilità di Salvatore mi ha permesso praticamente di organizzare un set. Non era quello che volevo. Sapevo che sarebbe stato difficile trovare qualcosa che mi coinvolgesse in così poco tempo, ma decido di accontentarmi.
C’è ancora tempo prima dell’ultimo rendez-vous e prendo a girovagare ozioso per stradine. In un vicolo cieco mi imbatto in un palloncino e mi metto a giocare, ovvero open flash e un 18mm che ha visto tempi migliori. I monrealesi ricorderanno ancora un povero matto che lanciava in giro per il paese un palloncino che gli scappava per il vento, sparando lampi in pieno giorno.
Giunto per l’ultimo giorno di workshop da Palermofoto, trovo i colleghi impegnati nella selezione, sotto la guida di Sandro Iovine e Patrice Terraz e pavento il momento di mostrare quanto fatto, ma assaporando l’idea della lettura di gruppo che verrà. Sottopongo comunque le foto a Patrice Terraz che cerca amorevolmente di trovarci qualcosa di buono. Poi decido di mostrargli anche il gioco in open flash e lo vedo illuminarsi: dovrò fare una selezione di queste, inventandomi una sequenza a posteriori. Lui e Sandro Iovine sembrano vedere un potenziale che a me ancora sfugge, e mi sento confortato a non essere l’unico pazzo mentre mi chiedo se sia una malattia professionale o un prerequisito.
Alla fine del workshop sono provato. Ho la sensazione di non aver sfruttato a fondo l’occasione di confrontarmi con questi due professionisti e di essermi perso la fase creativa dei colleghi, di cui ho visto soltanto gli interessanti risultati, spiegati da Iovine durante le proiezioni conclusive. Anche la lettura della mia sequenza col palloncino mi sembra immotivatamente benevola: era solo un gioco, la sequenza restituita non era programmata.
Ma ora mi accorgo che quei tre giorni mi hanno lasciato una consapevolezza importante: proprio perché le foto non sono realtà impersonali, non ha senso affrontare una storia in maniera rigidamente programmata, conterà invece quello che è il risultato dell’esperienza vissuta. Sarà proprio la visione personale a rendere interessante un racconto fotografico, quando ci troveremo a scegliere tra le immagini prodotte sulla spinta di tanti elementi, dalle aspettative alle nuove informazioni ottenute, passando per equivoci e distrazioni, possibilmente guidati da un’intuizione non ancora del tutto cosciente. Sarà nella fase di selezione che potremo perfezionare il processo, scegliendo cosa mostrare, come collegare le immagini, che ritmo dare alla sequenza, fino a sacrificare degli scatti che riteniamo buoni ma che non risultano funzionali al messaggio, tenendo infine presente il modo in cui mostreremo il lavoro, si tratti di un libro, un’esposizione o altro.
Sembra poco dicevo, ma è la differenza tra farfugliare e fare un discorso convinto, che possa essere compreso. Noi proviamo a fare la nostra parte nello scrivere la Fotografia, sarebbe bene che tutti fossero messi nella condizione di leggerla al meglio, magari inserendo nei programmi scolastici le nozioni fondamentali. [ Davide Bologna ]
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[ RISORSE INTERNE ]
◉ [ workshop ] Fotografia: scrivere e leggere
[ RISORSE ESTERNE ]
◎ Patrice Terraz
◎ Palermofoto
pubblicato in data 31-03-2017 in NOTIZIE / OPINIONI
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