Masahisa Fukase, l'incurable égoïste (Masahisa Fukase, l'inguaribile egoista) è la prima retrospettiva europea sull'opera di questo geniale autore giapponese e, a mio personale avviso, una delle mostre migliori che si possono vedere durante l'edizione 2017 dei Rencontres de la photographie.
Nato nel 1934 a Bifuka nella prefettura di Nakagawa in Hokkaido, la più settentrionale delle quattro isole maggiori che compongono l'arcipelago nipponico, Masahisa Fukase respira fotografia fin da bambino. Il padre ha infatti uno studio fotografico e la madre si occupa della stampa, presto accompagnata in camera oscura dal piccolo Masahisa, il quale conserverà per sempre il ricordo del freddo provato alle mani durante le lunghe sessioni di stampa pressoché al buio.
Una volta cresciuto, Fukase deve scegliere se proseguire l'attività di famiglia o prendere altre strade. «Ero arrivato a un bivio nel mio cammino – dichiarerà Masahisa Fukase in seguito – dovevo scegliere tra il diventare fotografo e scattare foto in uno studio fotografico». Abbandona quindi Hokkaido per Tōkyō dove, nel 1956, si laurea presso il dipartimento di fotografia della Nihon Daigaku Geijutsu Gakubu (University College of Art’s) e inizia a lavorare tra gli altri per il Nippon Design Center la Kawade Shobō Shinsha, prima di diventare freelance nel 1968.
Masahisa Fukase, Memories of Father. Avec l’aimable autorisation de Masahisa Fukase Archives. © Tomo Kosuga.
Durante la visita alle sale del Palais de l'Archêveché è palese lo sforzo fatto da Simon Baker e Tomo Kosuga, curatori della mostra, nel cercare di mantenere stretta la relazione tra la vita dell'autore e le sue opere, un parallelo quanto mai indispensabile affrontando un autore cardine della fotografia contemporanea con derive concettuali alquanto marcate.
L'esposizione è articolata in quattro sezioni (Jeu, Courbeax, Famille, Scènes privées/Gioco, Corvi, Famiglia, Scene private). Accoglie il visitatore una serie di immagini in cui Fukase sperimenta la sovrascrittura di elementi grafici su degli autoritratti (vedi foto qui sotto) e su fotografie scattate con materiali a sviluppo istantaneo. Al di là del piacere formale che deriva dalla visione delle singole immagini, quello che rimane è soprattutto una sorta di turbamento per la vertigine creata da alcuni interventi che rispecchiano, in modalità analogica, le sperimentazioni di computer grafica degli anni Ottanta e Novanta, con la variabile, non indifferente a livello di significato, dell'impiego dell'autoritratto.
Un momento della visita alla mostra L'incurable égoïste di Masahisa Fukase presso il Palais de l'Archêveché ad Arles in occasione dei Rencontres d'Arles 2017. © FPmag.
Nella sala centrale più grande, con le finestre oscurate per l'occasione, trova spazio il lavoro più celebre di Masahisa Fukase, Karasu (鴉/Corvi), di cui vengono presentate tanto le immagini a colori quanto le ben più note in bianconero. Un progetto che è stato fonte di ispirazione per più di un fotografo (vedi Eric Pillot). L'atmosfera cupa delle immagini di corvi è il frutto di un lavoro al limite del patologico che ha portato Fukase a riprendere per mesi e poi fino al 1982, gli uccelli subito dopo la definitiva separazione dalla moglie. A questo proposito Les Rencontres de la Photographie avevano già dedicato nel 2015 una sezione della mostra Another language, Eight Japanese Photographers alla serie From Window del 1973, in cui Fukase descrive il progressivo distacco che porterà alla separazione attraverso le foto scattate dalla finestra di casa alla moglie. Il senso di nera solitudine che ne emerge rispecchia profondamente lo stato d'animo dell'autore e il suo processo di immedesimazione. Tra l'altro, per una migliore comprensione dei toni foschi che aleggiano sul progetto, andrebbe considerato il rapporto negativo che il giapponese medio ha con i corvi, uccelli di dimensioni decisamente maggiori a quelle che siamo abituati a vedere in occidente, considerati pericolosi e aggressivi per l'uomo. Del resto nella grafia stessa della parola Karasu (鴉) è implicita una costruzione del kanji che non fa presupporre nulla di particolarmente amichevole. Infatti il radicale 鳥 (tori/uccello) è preceduto da 牙 (kiba/zanna). Un processo che se da un lato fa parte dello specifico dell'autore, dall'altro si inserisce in un quadro più ampio della cultura nipponica. Per comprendere meglio il concetto basta rileggere le parole con cui lo stesso Fukase aveva commentato la ponderosa mole di scatti di soggetto felino, con spesso protagonista il suo gatto Sasuke: «Ho trascorso la maggior parte di quest'ultimo anno sdraiato per terra, più o meno al livello degli occhi di un gatto, al punto da avere la sensazione di essere io stesso diventato un gatto. Fare foto e giocare con tutto quello che poteva passarmi per la testa per un anno intero si è rivelato un modo particolarmente gradevole di lavorare. Non mi interessava affatto fotografare dei gatti belli o carini, no quello che volevo era catturare l'immagine che comprendesse l'immagine dei gatti con la mia stessa immagine riflessa nei loro occhi. È per questo motivo che questa serie potrebbe essere considerata come una serie di autoritratti travestiti». E anche in questo caso è opportuno tenere presente la considerazione, stavolta positiva, dei giapponesi nei confronti di questi felini domestici, presenti oltre che in molte case anche in letteratura. Basti pensare a romanzi come Io sono un gatto (吾輩は猫である/wagahai ha neko de aru) di Natsume Sōseki.
Un momento della visita alla mostra L'incurable égoïste di Masahisa Fukase presso il Palais de l'Archêveché ad Arles in occasione dei Rencontres d'Arles 2017. © FPmag.
Importante nell'economia della mostra anche la sezione dedicata alla Famiglia all'interno della quale si trova anche 父の記憶 (Chichi no kioku/Memories of Father), la serie che nasce dal suo ritorno in Hokkaido quando si rende conto che al padre non resta molto da vivere. È una sequenza intensa in cui si avverte forte il tentativo di ricostruire il rapporto con il genitore al fine di creare per sé frammenti di memoria per quando questi sarebbe scomparso. La serie in qualche modo si inserisce poi idealmente all'interno di quella sulla famiglia dove, attraverso una serie di ritratti di gruppo a volte non esattamente teneri nei confronti dei suoi parenti, cerca con serietà e ironia di indagare sul senso della propria famiglia. Colpisce in particolare un'immagine del 1987 che, in pratica, replica a distanza di dodici anni un gruppo di famiglia, ponendo i soggetti nella stessa posizione occupata nel 1975. Il padre, nel frattempo scomparso, è sostituito da un ritratto in abiti tradizionali posto anch'esso nella stessa posizione occupata dal genitore nella fotografia precedente.
Un momento della visita alla mostra L'incurable égoïste di Masahisa Fukase presso il Palais de l'Archêveché ad Arles in occasione dei Rencontres d'Arles 2017. © FPmag.
In conclusione, una mostra da non perdere, in cui ci si può rendere conto sia di quanto fosse all'avanguardia la ricerca di Masahisa Fukase, sia di quanto grande sia stata la sua influenza sul lavoro di alcuni dei nomi più osannati della fotografia contemporanea, non ultimo probabilmente il celebratissimo Nobuyoshi Araki. [ Sandro Iovine ]
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MASAHISA FUKASE: L'INCURABLE ÉGOÏSTE
di Masahisa Fukase
Palais de l'Archêveché, 35 Place de la République - Arles (Francia)
3 luglio – 24 settembre 2017
ingresso: 10,00 €
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[ RISORSE INTERNE ]
◉ [ FPtag ] Les Rencotres de la Photographie 2017: il punto di vista della redazione
◉ [ FPtag ] Les Rencotres de la Photographie 2016: il punto di vista della redazione
◉ [ FPtag ] Les Rencotres de la Photographie 2015: il punto di vista della redazione
[ RISORSE ESTERNE ]
◎ Masahisa Fukase Archives
◎ Les Rencontres de la Photographie
pubblicato in data 25-08-2017 in NOTIZIE / MOSTRE
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