Ai Rencontres d’Arles difficilmente manca un’apertura sulla fotografia vernacolare. Nel corso degli anni si sono susseguiti album di famiglia, raccolte di fotografia scatologica, diverse serie di immagini tratte dalla grande collezione di Erik Kessels e molto altro. Tutto raccolto, di norma, in allestimenti impegnativi e molto scenografici. Una tradizione che è stata confermata anche quest’anno nonostante il cambio di direzione artistica, segno di un interesse per questo genere fotografico in apparente, continua ascesa. Tuttavia, se negli anni precedenti le mostre dedicate a queste particolari raccolte di immagini mi avevano sempre lasciato piuttosto indifferente – complice il voluto frastuono visivo che spesso le connota e che difficilmente attrae la mia attenzione – quest’anno mi sono dovuta ricredere.
Come suggerisce il titolo Vernaculaire! Trois séries de la collection Jean-Marie Donat, l’esposizione propone tre serie di immagini – TeddyBär, BlackFace e Predator – tratte dalla collezione di circa 10.000 immagini messa insieme da Jean-Marie Donat in oltre venticinque anni. «TeddyBär – spiega lo stesso Donat – presenta una selezione di fotografie scattate in Germania tra la fine della Prima Guerra Mondiale e la fine degli anni Sessanta. Mostrano persone comuni mentre posano con attori vestiti da orsi polari, placidi o inquietanti, che attraversano il Tempo. Sullo sfondo, scorre la storia della Germania. BlackFace esamina invece come si è evoluto lo sguardo sugli afro-americani tra il 1880 e la fine del 1960 attraverso i Blackfaces, cioè quei bianchi che si travestivano da neri per i Minstrel show (spettacoli comici ambulanti) o per feste private. Predator, infine, riunisce foto amatoriali da tutto il mondo (1920-1970) aventi in comune l’ombra del fotografo che le ha realizzate, sempre munito di cappello».
Tre serie molto diverse tra loro, dunque, ma legate a doppia mandata dal criterio di selezione utilizzato da Donat per comporle. Ogni raccolta è infatti giocata sulla ripetizione di un particolare significante, sia esso soggetto (come in TeddyBär o BlackFace) o semplice dettaglio (Predator). Una ripetizione che agevola il confronto, permettendo al visitatore ora di cogliere il mutare del contesto storico in cui è inserito il soggetto (TeddyBär), ora di osservare come cambia nel tempo il modo di guardare un popolo (BlackFace), ora di lasciare campo libero alla fantasia e di immaginare storie bizzarre attorno a quell’oscuro dettaglio che ricorre in continuazione…
Tuttavia, non sono tanto i singoli contenuti né i numerosi spunti di riflessione offerti dal percorso allestito nella Chapelle de la Charité – luogo connotato da una sorta di horror vacui che pervade l’atmosfera e, ahimé, spesso anche gli allestimenti – il contributo più significativo di questa mostra. La sua forza è un’altra, a mio parere, e sta nel suo mettere in luce l’attento lavoro di ricerca, raccolta, studio e archiviazione operato da Jean-Marie Donat nel corso del tempo. Un lavoro meticoloso, che gli ha permesso di creare dal nulla raccolte di immagini ricche di significato, su cui si innestano testi e sotto-testi che permettono di intrecciare interessanti letture e sotto-letture, spesso di stampo storico e sociologico. Tutte caratteristiche che trasformano una mera raccolta di immagini orfane in una collezione di valore, talvolta anche documentale, e che sancisce la differenza tra un collezionista accorto e uno improvvisato. [ S. B. ]
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VERNACULAIRE!
TROIS SÉRIES DE LA COLLECTION JEAN-MARIE DONAT
Chapelle de la Charité | fino al 20 settembre 2015
ingresso: 5,00 €
pubblicato in data 27-07-2015 in NOTIZIE / MOSTRE
ARLES2015 ErikKessels StefaniaBiamontiFPmag
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